Intervista sull'eruzione del Vesuvio del 1944
La mattina del 22 Marzo 1944 quasi tutto l'Agro Nocerino si
ritrovò coperto di lapilli. I primi ad accorgersene furono i
contadini. Ecco la drammatica testimonianza di uno di loro.
D. Come vi accorgeste dell'eruzione?
R. Ero piccolo allora… . Avevo si e no dodici anni. Ricordo,
comunque, che fu mio padre a svegliarci. A sua volta era stato
svegliato dal nostro cane, che guaiva senza sosta dal suo canile.
D. Il cane?
R. Si guaiva, si lamentava a lungo, come se lo stessero
scorticando vivo. A lui rispondevano altri cani, da lontano, con lo
stesso lamento lungo nel buio.
D. E poi?
R. Poi mia madre aprì la porta: pareva ancora notte fuori. L'aria
però aveva uno strano colore, ed anche un odore penetrante e
sgradevole, di lisciva, che le donne usavano, allora, per il bucato.
Sembrava notte, ma c'era una nuvola immensa di un viola bruciato,
dalla quale traspariva, a tratti, una luce lattiginosa, lunare, a
fiotti, qua e là per il cielo. Solo verso le dieci del mattino calò
la "notte".
D. Che successe allora?
R. - "Madonna di Pompei, aiutaci"- disse mia madre con voce
strozzata e con gli occhi sbarrati mormorò verso mio padre :
"piovono pietre".
S. Mio padre le si avvicinò e aprì il palmo della mano:
"lapillo caldo e cenere. Vedi quanto ne è caduto… . E' il
Vesuvio" , disse tentando di calmarla. Poi rivolto a noi:
"mettete qualcosa sulla testa per ripararvi e uscite. Ce n'è
tanta di questa roba sul tetto che da un momento all'altro potrebbe
crollare".
D. Che avete fatto allora?
R. Ci dirigemmo in giardino. La coltre nerastra scricchiolava
sotto i piedi, già alta per terra, e frusciava tra le cime degli
aranci, quell'anno abbondanti; i frutti sembravano occhi di gatto nel
buio delle foglie, divenute più nere del cielo di notte.
D. Aveste paura?
R. Non ricordo di aver avuto paura dapprincipio. Anzi, mi ero
messo sul capo un cassetto capovolto del comodino e il lapillo,
cadendo, ticchettava sul legno invitando alla danza; anche i miei
fratelli, più piccoli, smisero di frignare e dondolavano le teste,
rese pesanti dai cuscini legati con lo spago, per gioco.
D. E vostro padre?
R. Mio padre era salito sul tetto e con una vanga raccoglieva e
buttava giù montagne di lapillo.
D. Cadde la casa?
R. La nostra no, fummo fortunati.
D. Solo vostro padre si era accorto di quello che stava
succedendo?
R. I cani… . I cani avevano svegliato tutti nelle campagne. Poco
più tardi però, verso le sei del mattino, girò per le strade il
banditore: " Attenzion , pigliateve l'acqua pecchè s'è
schiattata 'a condotta, verite che chiovene prete. Salite 'ncoppe e
sarvateve 'e case".
S. Ma già tutti erano sui tetti a liberarli dal lapillo; tutti
lavoravano in silenzio… solo di tanto in tanto, qualche richiamo.
D. Tutti lavoravano in silenzio?
R. No… non proprio in silenzio… . Le donne aiutavano i loro
uomini e dicevano il rosario, con voce monotona, alcune piangevano.
Tutto ciò per ore ed ore, al freddo e senza mangiare.
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Il rabdomante
Per la ricerca delle risorse idriche, ancora oggi, in alcune
località, vi è la consuetudine di servirsi di individui detti
rabdomanti. Questi per mezzo di una bacchetta di legno indicherebbero
l'esistenza o meno di acqua nel sottosuolo.
Le facoltà del rabdomante (rabdos = bastone) non sono mai state
verificate scientificamente, sfuggono, se esistono, ai controlli
sperimentali. Infatti nell'ipotesi che il rabdomante fosse realmente
in grado di avvertire la presenza di acqua nel sottosuolo, ne
deriverebbe una specie di legame tra i suoi sensi ed il fluido in
questione, una qualche radiazione o emanazione di onde. Tutti gli
esperimenti in tal senso eseguiti finora concordano su un solo punto:
esito negativo.
Eppure ci fu una eccezione che indusse a proseguire le ricerche con
risultati sorprendenti. Si constatò, infatti, che le ipotizzate
radiazioni non erano una facoltà dei soli rabdomanti, ma in misura
diversa, di tutti gli esseri viventi.
Infine si arrivò alla scoperta dell'effetto Gurwitsch per cui ogni
essere vivente emette delle radiazioni capaci di impressionare
particolari lastre fotografiche. Gli studi continuano.
Ciò detto bisogna dire che, anche se il problema relativo alla
fenomenologia e alle reali capacità di operare dei rabdomanti resta
un fenomeno scientificamente inesistente, tempo fa, una nota ditta
multinazionale, dovendo fare delle ricerche idriche, incaricò due
geologi e …un rabdomante.
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La leggenda delle 7 Nocera
Spesso sento dire da compaesani “ben informati”: «Nocera è
stata sepolta sette volte». Il numero sette, legato a tradizioni o a
simbologie, viene svelato quasi con soddisfazione, come a dire: «Adesso
lo sai anche tu».
Così, col passa parola, negli anni, questa frase è divenuta un
luogo comune, una leggenda che, come tutte le leggende, prevarica la
verità.
In realtà, Nocera non è stata mai sepolta, nel senso letterale
del termine; sul suo territorio si sono registrati successivi,
molteplici, fenomeni alluvionali che, assieme alle ceneri, lapilli e
pomici provenienti periodicamente dal Somma-Vesuvio, hanno fatto si
che il piano campagna gradualmente s’innalzasse.
I Nocerini hanno potuto, così, di volta in volta, dopo il
ripetersi dei fenomeni accennati, sopralevare case, monumenti e le
stesse strade.
Ecco che si ritrovano successive massicciate stradali anche a pochi
decimetri di profondità, case su vecchie case e monumenti su antichi
monumenti.
Una situazione ben diversa, quindi, di quella di Pompei ed Ercolano,
ma certamente più interessante per quanto riguarda l’evoluzione
storico-urbanistica della nostra comunità.
Eppure, ancora oggi, anche dopo aver letto il mio articolo,
incontro qualcuno che esordisce con - «... , perché, lei mi insegna,
che Nocera è stata sepolta sette volte».
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Poesia fossile
Per realizzare una poesia è necessario possedere una conoscenza
della tradizione formale e letteraria. I poeti, guidati dalle proprie
ispirazioni, potranno, così, creare espressioni nuove da inserire nel
mondo della comunicazione.
Per dirla come R. W. Emerson: “Il linguaggio è poesia fossile;
come il calcare consiste di infinite masse di conchiglie, così il
linguaggio è fatto di immagini che hanno da tempo cessato di
ricordarci la loro origine poetica”.
Ogni parola fu originata da un lampo di genio.
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La Quarta dimensione e la curiosità
Immaginiamo un cubo in un universo “euclideo” a quattro
dimensioni (chiedo venia, per un momento al mio professore di fisica
Erman Gustavo allievo di Mario Ageno, a sua volta, allievo di Enrico
Fermi); in quest’universo il cubo lo chiameremo ipercubo.
Applicando semplicemente il teorema di Pitagora si ottiene che la
misura della diagonale dell’ipercubo è esattamente equivalente al
doppio del lato dello stesso. Il procedimento lo si potrebbe estendere
ad altre dimensioni. Solo che l’antica, riconosciuta da tutti noi
valida, teoria della relatività, l’affidamento alla luce come
riferimento naturale e non al pensiero come fonte di conoscenza
aprioristica, la pur non dimostrata teoria delle supercorde, lo
studio, ad altissimo livello, della matematica multidimensionale,
fanno ritenere ciò una inutile e banale esercitazione, ma ... la
curiosità dell’uomo non ha confini.
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Anni fa, l’ing. Carlo Martinez Y
Cabrera mi raccontò:
“Il Miracolo di Pompei”:
Un suo parente, all'inizio del secolo scorso, era
stato incaricato di scavare un pozzo, per la captazione dell’acqua,
a Pompei.
Il contratto prevedeva un pagamento proporzionale
alla profondità raggiunta.
Arrivato a pochi metri di profondità, questi,
trovò subito l’acqua e, facendosi i conti, s’avvide che non
avrebbe guadagnato alcunché. Allora cementò il tratto in falda e
continuò a scavare. Gli andò male perché capitò in un banco
argilloso o quantomeno “improduttivo” dal punto di vista dell’acquifero.
Rendendosi conto di non poter continuare, per non
rimetterci ancora. Disse al committente che non c’era una falda
sfruttabile e andò a scavare in un altro posto, ove “trovò” l’acqua.
Dopo qualche anno, la pressione dell’acqua nel
primo foro ebbe la meglio sulla chiusura, evidentemente non adeguata,
e, con forza rinvenne in superficie costituendo, appunto, il
cosiddetto miracolo di Pompei.
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Il Miracolo di Pompei 2
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Le due foto sotto si
riferiscono, all'ultima eruzione del Vesuvio (Marzo 1944), aeroporto
di Terzigno, dove furono distrutti 88 aerei americani che
operavano su Cassino. A sinistra si vedono i sistemi
aerodinamici inservibili e a destra un aviere americano cerca di
recuperare la mitragliatrice di coda. |
In verità il Prof. Giuseppe Imbò aveva (invano)
avvertito gli americani del pericolo imminente, non fu creduto o
quantomeno, non fu tenuto in considerazione (credo anche per
l'aspetto, i geofisici, come i geologi di una volta, non erano famosi
per il loro look); un capitano gli diede, invece, i due litri di
alcool che egli aveva parimenti chiesto.
Pertanto, furono distrutti 88 bombardieri, ma l'alcool permise al
Prof. Imbò di far funzionare il sismografo registrando preziosi dati
sull'eruzione.
Si dice, e lo ripeteva lo stesso Prof. Imbò a
lezione, che un alto ufficiale americano avesse, poi, chiesto:
«Ma chi era quello iettatore?».
«Il direttore dell'Osservatorio Vesuviano».
Si sentì rispondere.
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Conosciamo noi stessi?
A questa domanda sembra ovvio rispondere subito di
si. Invece pochi conoscono il loro vero volto in quanto quello che
vediamo allo specchio è l’immagine riflessa del viso e quindi con i
tratti somatici “scambiati”. Allora non potremo mai conoscere il
nostro vero volto, così come lo vedono gli altri? Un modo c’è.
Basta prendere due specchi, disporli ad angolo retto e specchiarsi; si
avrà la sorpresa di vedere un volto diverso dal consueto, a cui non
siamo abituati, eppure è quello il nostro vero aspetto, quello reale.
Molte acconciature, molte errate considerazioni che
abbiamo di noi stessi, non sarebbero accettate o per lo meno sarebbero
riviste osservandoci come veniamo realmente osservati dagli altri.
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La velocità e la comprensione
Quando leggiamo un argomento complesso, possiamo
diminuire la velocità di lettura per capire meglio. Quando siamo a
cinema, a teatro, o davanti al televisore, dobbiamo adattarci alla
velocità di comunicazione che viene imposta.
Alcune persone, magari senza accorgersene, parlano
troppo svelti e spesso viene detto loro di ripetere quello che hanno
appena detto.
L’arte del saper comunicare è, invece, anche
questo: adattare i messaggi sonori al target di ascoltatori (più
lenti con i bambini e con gli anziani), altrimenti la percezione non
sarà accompagnata dalla comprensione e il senso del messaggio ne
risulterà deformato.
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Le due fontane
Nel 1935, il tradizionale passeggio per il Corso, a
Nofi, comprendeva anche la parte Nord, oggi meno frequentata.
Ai confini, di questo tratto di strada, vi erano
due fontane: una situata in via Garibaldi e l’altra in Via Nicotera
che esiste ancora.
Ciascuna delle due fontane aveva il suo “curatore”.
A quella di via Nicotera si dedicava compare
Girolamo che la curava, si rinfrescava, l’abbracciava perfino.
Altrettanto faceva, per la fontana di via Garibaldi compare Pietro.
Una notte d’estate, verso le due, compare
Girolamo uscì di casa e andò, come al solito, alla fontana di via
Nicotera; vide compare Pietro che, nientedimeno, era intento a bere o
quant’altro. Si sentì “tradito” a tal punto che lo aggredì con
aspre parole, intimandogli di andare alla “sua” fontana che a
questa già ci pensava lui stesso. Pietro dovette rispondere per le
rime, insomma, successe il finimondo. Finì a botte, fra di loro, a
tal punto che molti cittadini si svegliarono e corsero in strada per
separarli.
La storia non dice se ognuno, poi, rispettò “la
fontana dell’altro”.
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Le anfore di San Matteo
Nel 1991 effettuai, assieme ad un collega, i saggi
geognostici sull’area corrispondente a “Piazza del Corso” di
Nofi, un paese del sud. Durante il sondaggio, in adiacenza alla Chiesa
di S. Matteo, il carotiere, a circa – 15 metri, improvvisamente
sprofondò.
Dopo l’estrazione, vennero fuori alcuni cocci di
vasi in terracotta che furono raccolti da un negoziante, mentre noi
eravamo impegnati nella difficile operazione di risistemazione delle
aste . Fortunatamente la cavità in questione era alta poco più di un
metro e si riuscì a proseguire nel banco cineritico
Subito dopo si rinvenne di nuovo il banco di tufo
grigio, però in falda.
Si trattava, allora, di un cunicolo, a tale
inusuale profondità, che serviva per il rifornimento d’acqua?
Non lo sapremo mai, perché i vari esperti che
arrivarono successivamente sul posto, per alcuni ritrovamenti
superficiali, non ritennero necessario soffermarsi sulle informazioni
rese disponibili da noi geologi che avevamo effettuato le prime
indagini sul sottosuolo.
Tempo dopo, trovandomi a passare da quelle parti,
mi fermai a guardare un gruppo di loro che, perplessi, studiavano il
segno circolare del foro lasciato dalla trivella, sperduti, chissà,
in mille congetture archeologiche.
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La promozione
«Pronto, dottore, c’è un grosso incarico
promozionale per voi».
“Che significa, che devo ancora
accontentarmi solo delle spese?”
«Certo, pensate all’immagine, appunto alla
promozione...».
“Allora no, grazie! Mi sono stufato di stare
in promozione, vorrei almeno andare in serie C ”.
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Domenico Rea e le tufare di Nocera Inferiore
Nel periodo bellico, e specialmente nell’anno 1943, gran parte della
popolazione di Nocera Inferiore trovò rifugio dai bombardamenti
rifugiandosi nelle tufare. Vivere in questi oscuri antri non doveva
essere affatto facile; così ne parla Domenico Rea nei suoi Racconti
(Ed. Mondadori 1953).
... Anche noi ci incamminammo in
fila indiana verso il fondo del Purgatorio (tufare n.d.r.).
Chi veniva in senso inverso, doveva aspettare che passasse la nostra
colonna e poi continuare. C’erano a grandi profondità alcune
lanterne ad olio che scoprivano debolmente una sorta di paesaggio
fatto di valli e colline, coperte letteralmente di gente. Dovevano
essere un quarantamila persone (il numero è probabilmente
esagerato perché rappresenta la totalità della popolazione di Nocera
dell’epoca n.d.r.). Poi il Purgatorio camminava ancora, voltava,
girava, si perdeva alla vista. Era come se Nofi (acronimo con
cui Rea indicava Nocera n.r.d.) fosse capovolta e si ritrovasse
in piccolo tutto il suo paesaggio di vicoli, abitanti, colli e
valli.
... Noi trovammo posto sull’orlo del
pozzo (pozzo di aerazione e di collegamento con i siti di
estrazione del tufo; potrebbe essere proprio quello recentemente
crollato n.r.d.), dove c’era anche il beneficio di una lanterna
segnale. Si sguazzava nella sporcizia e l’aria sembrava una cosa
spessa, sporca, che dava allo stomaco e intontiva. Le poche
provviste s’infettarono di quel sapore immondo, che era anche
cattivo odore. Mio padre, seduto sul ciglio non ce la faceva a
respirare. ...Io e mio cognato.. ci accorgemmo della scomparsa di
papà. ... fummo costretti a uscire... Vedemmo un piccolo aeroplano
sbucare da dietro la verde collina di Chivoli con la leggerezza di
un uccello. Subito dopo sganciò un paio di patacche nel tentativo di
far fuori uno sperduto motociclista tedesco, e mise invece fuori
servizio un altro paio di case . ... Verso sera ridiscendemmo nella
tufara. La gente dormiva a branchi. Ogni branco era una famiglia.
Solo i vecchi stavano svegli, magri, bianchi e sudati come candele.
Le tufare rappresentano dunque, secondo me, un pezzo importante
della nostra storia; spero che un giorno venga riaperta la loro
parte più sicura per ricerche di reperti storici e per organizzare
escursioni turistiche nella Nocera Sotterranea. |
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